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Negli oltre ottanta anni di storia di Jaguar, molte volte innovativi progetti ed idee rivoluzionarie sono stati portati avanti dalla determinazione e dalla visione di un uomo.Nel caso della XJ220 quell’uomo fu il capo ingegnere Jim Randle.

Partendo dal progetto della XJ13 del 1966, “la Jaguar che non c’è mai stata”, Randle aveva iniziato a pensare alla realizzazione di una supercar sin dal 1985. Le vittorie in pista della XJR9, poi, contribuirono a gettare le basi del progetto con l’intenzione di replicare quelle prestazioni anche su una vettura stradale.
Una volta ottenuto il via libera, Randle mise insieme un team “parallelo”, non ufficiale, chiamato il Saturday Club perché dedicava il proprio tempo libero a questo affascinante progetto.
Nel 1988 era stata costituita la JaguarSport, una joint-venture con la TWR di Tom Walkinshaw che preparava le auto da corsa, a cui fu demandato l’incarico di sviluppare una versione 6.2 litri del motore Jaguar V12, che avrebbe dovuto erogare oltre 500 Cv, accoppiato a un sistema di trazione integrale della FF Developments, con due differenziali a slittamento limitato.
Così come accaduto per la XK120, il nome con cui venne battezzata la nuova supercar, XJ220, alludeva alla sua velocità. La concept car venne presentata al British Motor Show del 1988. In questa sua prima apparizione pubblica aveva le portiere con aperture a forbice e la carrozzeria interamente di alluminio che la rendeva molto più leggera della XJ-S, nonostante le sue dimensioni ed il peso della sua trasmissione.
L’auto riscosse immediatamente un grande successo di critica e di pubblico. Ma il progetto rimase ancora in fase di studio sino alla fine del 1989, quando venne finalmente annunciato l’inizio della produzione di uno stock iniziale di 220 unità.
Le prenotazioni, in un momento in cui era esploso il fenomeno delle supercar con l’arrivo, tra l’altro, sul mercato della Porsche 919 e della Ferrari F40, esaurirono in pochissimo tempo le disponibilità. Per evitare un escalation del prezzo, Jaguar lo fissò a 220.000 Sterline (circa 360 milioni di lire dell’epoca); e per tentare di soddisfare tutte le richieste, le vetture vennero assegnate a ciascun mercato secondo le proprie percentuali di vendita. Per esempio, all’Italia vennero destinate undici vetture: sette al nord e quattro al centro-sud, esistendo a quel tempo due importatori privati (Koelliker a Milano e Fattori&Montani a Roma). L’acconto per la prenotazione veniva girato direttamente a JaguarSport, ma questo non servì ad evitare un mercato parallelo delle stesse prenotazioni, rivendute a prezzi da capogiro. Lo stesso prezzo d’acquisto con il tempo lievitò, fino a raggiungere le 300.000 sterline.
Purtroppo, però, la vettura numero 001 non sarebbe stata pronta che per la fine del 1990. Realizzata interamente a mano nello stabilimento JaguarSport di Bloxham, nell’Oxfordshire, aveva le stesse dimensioni della concept car presentata al Salone di Londra: una lunghezza di 485 cm, una larghezza di 201 cm e l’incredibile altezza di 114 cm.
La prima vettura cliente fu completata e consegnata nel 1992, quando il fenomeno delle supercar aveva iniziato la sua fase discendente.
Il progetto iniziale era stato sottoposto ad alcune importanti revisioni. Era stato adottato un motore 3.5 litri V6 twin-turbo derivato dalle competizioni che erogava 542 Cv. Nel giugno 1993, guidata dall’ex pilota di F1 Martin Brundle sul circuito di Nardò, la XJ220 raggiunse la velocità di 349,4 km/h, divenendo di fatto la vettura di serie più veloce del mondo. Per quasi un decennio, poi, la XJ220 detenne il record del giro più veloce del circuito del Nurburgring con il tempo di 7’46”36.
La vettura entrata in produzione, inoltre, aveva le portiere che si aprivano in maniera convenzionale e la trazione integrale era stata sostituita da quella posteriore per ridurre ulteriormente il peso e migliorare le prestazioni.
La produzione della XJ220 terminò nel 1994. La grande recessione economica mondiale che era esplosa proprio in quel periodo, non impedì a JaguarSport, nonostante anche le sue difficoltà, di produrre e vendere 275 esemplari della XJ220.
La XJ220 ebbe anche una breve ma intensa attività sportiva, il cui momento più alto fu la vittoria nella classe GT della 24 Ore di Le Mans. Nel giugno del 1993 si allinearono al via tre XJ220C, forti del successo conquistato il mese prima al BRDC National Sport GT Challenge. Nonostante gli oltre 70 minuti persi ai box per un problema, la XJ220C numero 50 di Nielsen, Brabham e Coulthard riuscì a riprendere e superare le Porsche e passare per prima sotto la bandiera a scacchi. Qualche settimana dopo, però, la vittoria venne annullata perché la XJ220C era priva del convertitore catalitico. Ma, fino ad oggi, né la FIA né le autorità di Le Mans hanno mai richiesto la restituzione del trofeo che è rimasto nella bacheca di Jaguar.