Citroën 2CV, nata durante la guerra e simbolo della rinascita
La 2Cv era stata pensata per chi, non avendo mai posseduto un’auto, non avrebbe potuto permettersene un’altra: doveva, quindi, costare poco ed essere molto leggera per la potenza estremamente bassa del suo motore che nella versione iniziale non erogava più di 9 cavalli. Nel 1939, pertanto, i progettisti si trovarono costretti ad escogitare delle soluzioni quanto meno originali.
Il principio era che tutto quello non c’è, non pesa e non costa. Così venne eliminato l’avviamento elettrico, visto che c’era già la manovella o un cavetto a strappo come nei fuoribordo o nelle motoseghe. Un faro soltanto sarebbe stato sufficiente e l’acciaio del telaio e della carrozzeria poteva essere sostituito dal magnesio e dall’alluminio, più leggeri e, a cavallo delle due guerre mondiali, anche più economici. Eliminata anche l’armatura dei sedili: due amache sospese a traverse orizzontali potevano bastare. Al posto degli indicatori di direzione elettrici, sarebbe stato sufficiente mettere fuori il braccio. Infine, i vetri laterali furono sostituiti da fogli di mica, come negli aerei dell’epoca, più leggera e meno costosa del vetro, ma anche meno trasparente.
Il ciclone distruttivo della guerra portò ad un radicale cambiamento del mondo. E così, quando al termine del conflitto venne ripreso il progetto TPV (il nome in codice della futura 2CV) i tecnici si accorsero che molte idee iniziali non erano più adeguate ai tempi.
Nel 1945, in Francia l’alluminio era arrivato a costare moltissimo e veniva impiegato soltanto in quei casi in cui non poteva essere sostituito da altri materiali. Furono riadottati i doppi fari anteriori ed il vetro sostituì la mica. Anche l’avviamento elettrico tornò al suo posto, così come l’armatura dei sedili in tubolare d’acciaio.
Ma alcune delle ingegnose soluzioni iniziali rimasero sull’auto di serie, fino alla fine della sua lunga storia.
La prima cosa che salta all’occhio guardando la 2CV è la forma dei finestrini anteriori. Orizzontalmente divisi a metà, con due cerniere che sporgono leggermente verso l’esterno, mentre dall’interno un gancetto li tiene chiusi. Per aprirli basta spingere verso l’esterno la parte inferiore del vetro, che può essere ancorata in alto grazie ad un altro gancetto nella cornice superiore della portiera. Mancando gli indicatori di direzione, che arrivarono solo negli anni ’60, il guidatore non doveva far altro che sporgere il braccio per indicare la direzione. E questo sistema di apertura, così economico, funzionale e leggero, non fu mai cambiato, se non nella forma dei gancetti superiori che mantenevano il finestrino aperto.
La 2CV entrò in produzione con i sedili dotati di un normale telaio in tubolare d’acciaio, ma senza imbottitura. Era rimasto il concetto dell’amaca, realizzata ancorando una striscia verticale di tessuto ai lati dell’armatura del sedile tramite elastici in gomma. L’idea era semplice e geniale, quindi in linea con la 2CV. Inoltre dei sedili così concepiti potevano essere utilizzati anche fuori dalla vettura; si poteva sganciare sia la panchetta posteriore che quella anteriore (o i due sedili anteriori separati, secondo le opzioni) e adagiarli sul prato.
Anche la grande capote in tela, che partiva dalla parte superiore del parabrezza e arrivava sino al paraurti posteriore, passò senza modifiche dalla TPV alla 2CV di serie. In questa maniera si risparmiava peso e si tagliavano i costi rispetto ad un tetto in acciaio. Una soluzione, però, anche funzionale, che consentiva di caricare una scala a pioli attraverso il tetto aperto, e pratica perché si poteva trasformare la piccola berlina in una cabriolet. Sino agli anni ‘60, la capote chiudeva anche il bagagliaio, a cui si accedeva arrotolando la tela verso l’alto fino all’altezza desiderata.
Curioso quello che accadde in fabbrica durante il montaggio dei primissimi esemplari di serie della 2CV. Il designer Flaminio Bertoni aveva realizzato il progetto della capote e della scocca; quest’ultima era stata parzialmente corretta soltanto pochi giorni prima dell’avvio della produzione degli stampi delle lamiere. Si era, però, dimenticato di correggere il disegno della capote. Così quando le prime 2CV arrivarono alla fase di montaggio della capote, gli operai si accorsero che questa non s’incastrava con la carrozzeria. La catena si fermò ancor prima di partire, ma ormai gli stampi erano già in posizione nelle presse e la catasta di capote pronte al montaggio sfiorava il tetto del capannone.
Bertoni dovette pertanto esaminare il problema direttamente sulla catena di montaggio. Si trattava di pochi millimetri e, all’epoca, le tolleranze sulle carrozzerie erano generose. Bertoni provò più volte senza successo, finché non venne fuori il suo carattere collerico e, imprecando in italiano, sferrò una pedata alla 2CV. A causa della vibrazione, la capote si allineò nella giusta posizione. Il disegno della capote fu subito modificato, ma già il giorno seguente era stato realizzato uno speciale stivale in gomma e cuoio, che venne dato in dotazione all’operaio addetto al montaggio delle capote sulle prime migliaia di 2CV. Ogni volta che una passava in quel punto della catena, l’operaio tirava un calcio in un punto ben preciso e la capote scivolava al suo posto. Semplice ed economico.